Fare brand storytelling altro non è che raccontare una storia, e, sin da bambini tutti sanno cosa voglia dire ascoltare una storia e quanto questa sia in grado di restare dentro ognuno di noi quanto più risulti coinvolgente. E non è solo un discorso di contenuto, ma anche del tono di voce e della suspence che in grado di creare il narratore.
Più una storia sa emozionare e più è probabile che rimanga nel cuore e nella testa delle persone. Non a caso gli inglesi quando devono imparare a memoria qualcosa, usano l’espressione learn by heart, ossia imparare con il cuore.
Quindi, qualsiasi cosa che venga raccontata in modo da trasmettere emozioni, sentimenti e valori ha alte probabilità di rimanere nel cuore e nella testa delle persone. Questo vale anche per i brand, o grandi marchi che, a dispetto del marketing tradizionale, non vendono più solamente prodotti o servizi ma la loro storia.
A pensarci bene, i brand storici, quelli che non passano mai di moda, sono proprio quelli che ogni giorno si raccontano tramite contenuti video e audio, tramite particolari scelte di packaging o prese di posizione rispetto a temi etici e umani. Brand in grado di fare questo con coerenza e costanza diventano i protagonisti della loro brand storytelling ed è come se prendessero vita. Finiscono con l’avere un proprio carattere, un proprio colore identificativo, un proprio tono di voce e si raccontano sempre scegliendo un preciso contesto narrativo.
Brand identity e archetipi
Raccontarsi tramite contenuti coerenti rilasciati con frequenza costante è la strategia usata dalle aziende per costruire la propria brand identity, ossia la possibilità di essere riconosciuti in maniera univoca nel mare dei competitor.
Alcuni marchi che hanno costruito una identità solida sono anche ottimi esempi di brand storytelling: si pensi a marchi come il Mulino Bianco, Coca-cola, Apple o Harley Davidson. Nessun contenuto pubblicitario di questi brand spiega nel dettaglio il prodotto che sta vendendo e quindi i biscotti, una bevanda analcolica, prodotti di elettronica o moto. Tutte si concentrano a comunicare i valori dietro al brand e promuovono un ben preciso stile di vita. Quindi, usando gli esempi precedenti, la famiglia e i valori tradizionali per Mulino bianco, lusso ed eccellenza per la Apple e vita fuori dalle righe per la Harley Davidson.
Addirittura, nel caso della Mulino Bianco, poco dopo la nascita del marchio, un vero mulino bianco (situato a Siena) è stato usato per girare gli spot pubblicitari. Ebbene, nel tempo quel luogo è diventato una vera e propria attrazione turistica che ogni anno ospita numerosi amanti dei prodotti del Mulino Bianco.
Volendo semplificare l’enorme sforzo dei brand di avere una propria personalità, si può ridurre il tutto a delle macro categorie caratterizzate da precisi profili psicologici, detti archetipi. Questi sono 12 e, in particolare: l’Eroe, il Ribelle, il Mago, l’Uomo comune, l’Amante, il Burlone, il Sovrano, l’Angelo custode, il Creatore, l’Innocente, il Saggio e l’Esploratore.
Ognuno di questi profili ha delle caratteristiche che ne definiscono anche il tono di voce e lo stile comunicativo in generale. Individuare il proprio archetipo è fondamentale per creare contenuti coerenti dal punto di vista stilistico.
Facendo un po’ di attenzione, è semplice individuare gli archetipi dei brand più famosi perché, seppur con lievi differenze, hanno tutti lo stesso metodo narrativo, riconducibile appunto al loro archetipo. Ad esempio, Harley Davidson insieme ad altri come Desigual o Virgin fanno parte della categoria il RIbelle, ognuno a modo suo ma alla base promuovono tutti una vita fuori dagli schemi.
Allo stesso modo marchi come Nike o red-bull, promuovono valori di coraggio e determinazione, ricadono quindi nell’archetipo dell’Eroe, mentre Apple è identificabile con il Mago, e, come Disney, sfrutta l’immaginazione per raccontare la storia del marchio, i suoi prodotti e servizi.
Mentre, Mulino Bianco, Coca-Cola, Dove, Rocchetta, sono tutti esempi dell’archetipo Innocente, un brand di cui ci si può fidare che fanno leva sui buoni sentimenti e ricordi di infanzia.
Questi sono tutti esempi di marchi che ce l’hanno fatta e dai quali si dovrebbe prendere esempio per applicare delle buone pratiche di brand storytelling. Quindi, se una azienda decide di raccontarsi dovrebbe prima fare una autoanalisi per individuare la propria identità (e quindi il proprio archetipo) e il pubblico di riferimento. Solo allora, forte della sua brand identity, sarà in grado di fare uno storytelling di qualità.
Come fare storytelling
Si è parlato degli archetipi: il primo passo per raccontarsi è quello di conoscersi. È quindi importante fare una analisi dei valori dell’azienda, del messaggio che si vuole veicolare e chi è il destinatario di tale messaggio. Una volta definito il proprio archetipo e il target di riferimento, le altre scelte stilistiche saranno più semplici. Ad esempio il tono di voce, i canali sui quali distribuire i propri contenuti, la loro frequenza e lunghezza.
Altro punto di attenzione è il logo, che deve essere coerente con quello che l’azienda vuole comunicare: probabilmente se la Ferrari avesse scelto come logo un timido coniglio, non avrebbe avuto lo stesso successo che invece ha avuto scegliendo il cavallino rampante. A volte può essere solo fortuna ma l’aspetto grafico è fondamentale per costruire la brand identity in modo solido ed inequivocabile, curare la comunicazione grafica e renderla coerente con l’immagine aziendale è il primo passo da compiere per raccontare la storia di un marchio in modo efficace.
Riassumendo, un brand storytelling di successo deve:
- Emozionare, per coinvolgere, tramite la narrazione studiata ad hoc, la sfera intima del suo pubblico;
- Persuadere: attirare consumatori verso i propri prodotti e servizi non tramite offerte promozionali ma con i sentimenti;
- Diventare memorabile, grazie all’unicità del marchio creata attraverso tutti i metodi di narrazione: visuali, percettivi e auditivi.