Chi si dedica al corporate storytelling deve prestare attenzione a una lunga serie di errori che rischiano di compromettere i risultati che si possono raggiungere con una strategia di narrazione. Il racconto, al giorno d’oggi, è una parte fondamentale delle tecniche di comunicazione e di marketing quotidiane, tanto per le aziende di grandi dimensioni, quanto per le PMI o addirittura i singoli professionisti. Non importa che si agisca soprattutto online o che si preferisca muoversi offline: quel che conta è rispondere alla necessità di raccontarsi. Il corporate storytelling permette di conseguire degli obiettivi strategici attraverso la costruzione di un racconto d’impresa, che può essere integrato da attività di visual storytelling. A seconda delle esigenze che ci si propone di assecondare, ogni progetto di narrazione d’impresa ha bisogno di una specifica metodologia e di strumenti adeguati, destinati a essere scelti dagli storytelling specialist.
Quando il corporate storytelling non è efficace
Uno dei motivi più frequenti per i quali il corporate storytelling rischia di risultare poco efficace è rappresentato da una narrazione piatta. Bisogna sempre far sapere alle persone che un’azienda è composta da un universo variegato di individui, di caratteri e di capacità: qualora tale mondo venga nascosto al pubblico, si commette un errore. In sostanza, il marchio non deve fagocitare tutto il resto, perché la conseguenza è quella di un brand dall’immagine monodimensionale. Occorre, invece, coinvolgere chiunque contribuisca alla crescita del marchio, in maniera indiretta o diretta: questo permette di avvicinare il pubblico e di rendere la narrazione più profonda.
Come entrare in contatto con il proprio target
I consumatori dovrebbero essere messi nelle condizioni di sapere chi lavora per un brand, perché il dietro le quinte è sempre apprezzato, e i retroscena sono fonte di curiosità. Inoltre, questa strategia avvicina il brand all’esperienza quotidiana delle persone. Ogni impresa è composta da individui, i cui gusti, le cui attese e i cui bisogni non sono troppo diversi da quelli dei clienti. D’altro canto, il tratto peculiare dello storytelling consiste nella diffusione di storie umane, che sono le più coinvolgenti. Questa è la via da seguire per condividere esperienze comuni, che sono quelle che contribuiscono alla grandezza di un business, in qualunque settore.
La complessità va evitata
La complessità non è mai una soluzione vincente, neppure quando si fa corporate storytelling. Al contrario, è un modo sicuro per allontanare le persone, che rischiano di tenersi a distanza dal marchio. Coloro che operano in ambiti tecnici, come per esempio quello sanitario, quello finanziario o quello tecnologico, hanno la tendenza a puntare su un alto livello di complessità, perché ritengono che tale aspetto possa conferire autorevolezza e sia sinonimo di spessore. In altri casi, invece, lo storytelling risulta complesso per la banale ragione che non si è stati in grado di semplificarlo, nella convinzione che un argomento specifico non possa essere reso in maniera troppo schematica. Ebbene, questo è un approccio errato, e anche per gli argomenti in apparenza più impegnativi esistono delle soluzioni che aiutano a comunicare in modo immediato. E quindi efficace.
Che cosa impedisce allo storytelling di funzionare
I dettagli del gergo tecnico sono spesso un ostacolo critico per la buona resa del corporate storytelling, e lo stesso discorso può valere per gli inglesismi. D’altro canto è difficile riuscire a suscitare un forte coinvolgimento emotivo se la storia che si racconta è difficile da capire o da memorizzare. Non si può prescindere dall’immediatezza del senso, una caratteristica fondamentale anche nell’ottica dell’autenticità. La semplicità è la strada da privilegiare, soprattutto se si parte dal presupposto – di cui non ci si può dimenticare – che in tutti i processi di comunicazione tra il mittente di un messaggio e il suo destinatario ci sono delle interferenze. In parole povere: il mittente pensa e immagina il messaggio in un modo, ma poi lo rende effettivo in un modo diverso; il destinatario, a sua volta, recepisce e interpreta il messaggio a proprio modo, che di sicuro sarà differente rispetto a quello del mittente. Ecco perché la comunicazione è già complessa di per sé: non ha senso renderla ancora meno immediata.
A che cosa serve lo storytelling
Lo scopo del corporate storytelling è quello di instaurare una sorta di affinità dal punto di vista emotivo tra il marchio e il potenziale cliente: si tratta da un lato di instaurare dei rapporti nuovi e dall’altro lato di consolidare dei legami che già esistono. In questa ottica, non ha molto senso proporsi come i migliori del mercato, e anzi il rischio è quello di apparire arroganti o poco professionali. Autocelebrarsi non serve a niente, soprattutto se la leadership nel proprio settore non è supportata da dati oggettivi e fatti concreti. Per lo storytelling, non è la strada giusta creare un mito attorno a sé stessi, perché da questo approccio deriva una sensazione di superficialità e di finzione dagli effetti facili da prevedere. Gli interlocutori già scettici di per sé rischiano di restare distanti, ma anche quelli meno diffidenti potrebbero nutrire dei dubbi.
Gli effetti della comunicazione patinata
È pur vero che fino a qualche tempo fa la comunicazione patinata andava molto di moda, ma in questa epoca sembra aver smarrito la propria efficacia. I consumatori attuali, infatti, conoscono gli strumenti di marketing e ne hanno consapevolezza: di conseguenza non fanno fatica a capire quando una comunicazione è eccessiva o millanta fatti non veritieri. I brand devono, invece, porsi sullo stesso piano dei clienti con cui intendono comunicare, con un approccio sincero che è alla base di una narrazione coinvolgente. La spontaneità e l’umanità, fondamentali per un corporate storytelling efficace, non hanno a che fare con la perfezione, ma possono coinvolgere anche difetti e problemi. Se l’obiettivo è quello di essere ammirati e basta, è probabile che ne derivi un effetto distanziante.
Fare storytelling non vuol dire vendere
La narrazione non va considerata come uno strumento di vendita. L’arte del raccontare storie presuppone una costruzione meticolosa, e non equivale al semplice mettere in fila una serie di fatti. Le storie hanno a che fare con le emozioni e con le passioni: non con le statistiche, non con i numeri. Per far conoscere i numeri di un’azienda è meglio una presentazione; ma se si vuol fare corporate storytelling si deve pensare ad altro, mettendo al centro dell’attenzione le persone e le loro esperienze.
Quali informazioni raccontare
Un errore di cui spesso non ci si rende conto è quello che si commette nel momento in cui si rivela una quantità eccessiva di informazioni. Se è vero che lo storytelling deve portare i consumatori a immedesimarsi, ecco che scendere nei dettagli in maniera eccessiva può non essere l’approccio giusto. I lettori e gli spettatori devono essere avvinti, e ciò è possibile solo se non tutti gli spazi dell’immaginazione vengono riempiti. È grazie ai vuoti che le persone hanno modo di identificarsi nel protagonista di una storia e sostituirsi ad esso, insomma.
L’esigenza di sorprendere
Non è detto che un corporate storytelling efficace debba per forza lasciare a bocca aperta e sbalordire i destinatari. Pensare di dover stupire a ogni costo è sbagliato. Per esempio, un finale a sorpresa è un cliché, e può servire solo in alcuni casi: non tutte le storie sono adatte a una conclusione simile. Meglio essere cauti, dunque, per non compromettere il racconto costruito.
I fallimenti non vanno nascosti
Anche i fallimenti e le sconfitte devono far parte del racconto, ma è ovvio che bisogna essere in grado di inserire questi elementi con sapienza: è assolutamente proibito sfociare nel vittimismo. L’intento è, invece, quello di far capire in che modo il brand riesce a superare le difficoltà e a far fronte agli imprevisti, individuando di volta in volta le soluzioni più adatte per garantire alla clientela servizi e prodotti validi. Ma citare i fallimenti serve anche a evitare le iperboli e le esagerazioni poco credibili tipiche della comunicazione corporate: avete mai fatto caso che tutte le aziende si dichiarano leader nel proprio settore di mercato? Dichiarazioni di questo tipo appaiono poco credibili e possono perfino far allontanare i potenziali clienti a cui sono rivolte.
Il valore del contesto
Il contesto è un aspetto di fondamentale importanza di cui si deve tenere conto quando si costruisce una narrazione nell’ottica di una strategia di marketing basata sul corporate storytelling. Il contesto comprende l’insieme di elementi che aiutano a cogliere i dettagli e le caratteristiche di una particolare situazione. I lettori e gli spettatori spesso hanno la necessità di venire guidati fino al fulcro del racconto, ed è a questo che serve il contesto, senza il quale il rischio è quello di non capire.
I social network
I social network rappresentano il canale di comunicazione ideale per condividere una storia, anche se breve: quello che conta è che sia capace di coinvolgere e risulti incisiva. Il visual network per antonomasia è Pinterest, che permette di dare vita a storie sul marchio con le sue bacheche. Anche Instagram, comunque, offre la possibilità di stabilire un contatto diretto con i potenziali clienti: basta postare foto e video della vita di tutti i giorni, dietro le quinte.